Obesità e fibromialgia: qual è il nesso?

fibromialgia

Sovrappeso e obesità sono caratterizzate da uno stato infiammatorio cronico dell’organismo: un BMI elevato sembra infatti essere strettamente correlato sia allo sviluppo della fibromialgia (FM) che alla gravità della sintomatologia associata. Uno studio trasversale italiano ha esaminato questa relazione in una grande coorte multicentrica di pazienti con fibromialgia; i risultati suggeriscono che essere obesi o in sovrappeso ha un impatto aggiuntivo sulle manifestazioni cliniche e la funzionalità dei pazienti FM, portando a una compromissione significativamente maggiore. Gli individui obesi hanno circa il doppio delle probabilità di provare dolore persistente rispetto a chi ha un indice di massa corporea normale. Uno studio di registro gemellare basato sulla comunità ha dimostrato che il dolore lombare, il dolore addominale, il dolore cronico diffuso, il mal di testa e la fibromialgia erano più probabili nei gemelli sovrappeso (BMI >25 ma <30 kg/m2) e obesi (BMI >30 kg/m2) rispetto alle loro controparti di peso normale. Diverse spiegazioni sono state proposte per chiarire questo legame: numerosi studi si sono concentrati sul carico meccanico a livello delle articolazioni portanti. Tuttavia, il dolore non è esclusivamente limitato a queste sedi e anche il ridotto benessere psicologico e fisico giocano un ruolo importante nella ridotta qualità di vita associata all’obesità, anche negli individui senza gravi comorbidità associate. Altre possibili spiegazioni sono che l‘obesità e la FM sono entrambe associate alle stesse alterazioni della funzione endocrina, dei sistemi oppioidi e delle vie infiammatorie, e questo potrebbe influenzare la sensibilità al dolore dei pazienti obesi. La letteratura scientifica è comunque concorde nel confermare che la restrizione calorica, e la conseguente perdita di peso, migliorano la sintomatologia e la qualità di vita dei pazienti, oltre a ridurre gli indici di infiammazione. Considerando che il sovrappeso e l’obesità rappresentano una comorbilità presente in più della metà dei pazienti fibromialgici, la dieta ipocalorica dovrebbe essere fortemente raccomandata nel trattamento degli individui con un BMI ≥ 25 kg/m².

Diversi lavori hanno dimostrato l’efficacia della dieta a bassissimo contenuto energetico (Very Low-Calorie Diets o VLCDs), limitata a 800 kcal, nel migliorare la sintomatologia dei pazienti. Ad esempio, lo studio osservazionale di Schrepf et al., condotto su 123 partecipanti obesi affetti da dolore cronico, ha esaminato l’effetto della VLCD per un periodo di circa 12-16 settimane. I risultati hanno evidenziato una correlazione tra la perdita di peso e il miglioramento sia del dolore meccanico (dolore da carico, ad esempio, a livello lombare o agli arti inferiori) che del dolore non associato al carico (ad esempio, a livello della mascella, del torace o dell’addome), oltre a una riduzione della gravità complessiva dei sintomi (ad esempio, stanchezza, difficoltà a dormire) e della depressione. Migliori risultati sono stati osservati nei soggetti di sesso maschile e negli individui che hanno perso oltre il 10% del loro peso corporeo rispetto a coloro che non hanno raggiunto tale soglia. La maggior parte degli studi condotti prevedeva un trattamento di almeno 12 settimane, tuttavia un uno studio osservazionale di Stubbs et al., ha dimostrato una riduzione del dolore ≥ 30% entro la terza settimana dall’inizio dell’intervento dietetico nel 72% dei pazienti obesi, quindi prima del raggiungimento di una significativa perdita di peso. Il risultato è promettente in quanto sembra stabilire un modello temporale di miglioramento dei sintomi e suggerisce che gli effetti analgesici della dieta siano dovuti, almeno in parte, alla dieta stessa piuttosto che alla perdita di peso che ne consegue. Tale riduzione della sensibilità al dolore è stata descritta anche in modelli animali che studiano la restrizione calorica.

Articolo a cura di

Amalia Prigione

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