L’obesità è un problema di grande rilevanza a livello di salute e di spesa pubblica: in Italia 1 persona su 10 è obesa ed almeno il 4% della spesa sanitaria è associata a questa condizione.
Recentemente, l’Istituto Auxologico Italiano ha presentato il 9° Rapporto sull’obesità in Italia, al fine di esplorare nuove frontiere per combattere quello che, negli ultimi anni, è diventato un fenomeno sempre più preoccupante. Il rapporto adotta un approccio innovativo, associando alle diverse condizioni di obesità le più recenti ricerche epidemiologiche, fisiopatologiche e cliniche.
Il rapporto riporta alcuni dei dati dell’OMS del 2020 secondo cui il 10,4% della popolazione mondiale è obesa, un terzo di quella pediatrica in sovrappeso, il numero di obesi si attesta intorno ai 650 milioni e le malattie correlate a tal condizione sono almeno 200. Particolarmente preoccupante è la situazione dei più giovani, una fascia di età in cui si pongono le basi di quelle che saranno le malattie cronico degenerative nel futuro. Alla stesura del rapporto hanno partecipato anche i ricercatori dell’Istat, riportando ulteriori approfondimenti per quel riguarda la situazione europea e nazionale: tassi maggiori di obesità infantile si registrano per Cipro, Italia, Grecia, Malta e Spagna con 1 bambino su 8 affetto da tal condizione nella fascia di età tra i 7 e gli 8 anni. Dopo gli 11 anni, emergono dati significativi in relazione alla condizione di obesità rispetto alle differenze di genere. I dati di prevalenza per genere mostrano infatti che l’obesità riguarda 6 uomini su 10 versus 4 donne su 10. Nella classe 65-74 anni, inoltre, si riscontra la prevalenza di obesità maggiore sia in maschi che femmine (61,1%).
In generale, l’Italia mostra una prevalenza di obesità inferiore rispetto agli altri Paesi europei (≈11%), anche rispetto a Paesi geograficamente e culturalmente non dissimili come Francia (15,4%) e Spagna (16,9%).La motivazione però non sembra essere associata ad una maggior attività fisica quanto invece alle caratteristiche della dieta mediterranea e al ridotto consumo di alcol durante i pasti.
In Italia, infatti, solo 1 italiano su 5 pratica attività fisica moderatamente attiva per almeno 150 minuti alla settimana, così come raccomandato dall’OMS, ed oltre il 30% degli uomini e il 40% delle donne non pratica sport o attività fisica strutturata. La rassegna di dati legati all’obesità continua in tutto il rapporto e viene affiancata ad interventi di prevenzione basati su modifiche nello stile di vita, all’esposizione delle metodologie diagnostiche e ad una particolare attenzione a temi innovativi come la relazione tra obesità e microbiota. Tra i temi che risultano più che attuali svettano anche l’analisi della complessa relazione che intercorre tra Covid-19 e obesità e gli inesplorati temi della sessualità, mostrando come i pazienti obesi siano sottoposti a stress psicologico e bassa autostima che possono influire negativamente sulle relazioni sociali.
Il nostro mondo sta vivendo una trasformazione epocale di tipo demografico, sociale, economico e ambientale e l’influenza del Covid-19 è stata rilevante anche e soprattutto per chi vive in una condizione clinica come l’obesità. Il dott. Mario Colombo, Direttore Generale dell’Istituto Auxologico Italiano, alla presentazione del rapporto (5 luglio 2021) non ha dimenticato di ricordare quanto l’obesità, con le complicazioni ad essa annesse, sia una condizione non irrilevante in un periodo storico così fragile: “Un paziente obeso affronta la patologia Covid-19 con più difficoltà di un paziente privo di patologia. L’obesità è stata dimenticata durante la pandemia e le conseguenze non sono mancate. I numeri confermano un ritardo nelle diagnosi a fronte del 31% di visite specialistiche in meno nell’aria cardiorespiratoria, 30.000 diagnosi di tumore in meno rispetto al 2019. Forse la paura del contagio è stata complice, ma il 50% dei pazienti con infarto non si sono recati negli ospedali o si sono recati in ritardo, con una conseguente triplicazione della mortalità ospedaliera rispetto al periodo pre-coronavirus. La non regolarità nelle visite ospedaliere, inoltre, risulta particolarmente significativa per i pazienti obesi, in quanto la periodicità delle visite risulta esso stesso un fattore di cura per tal patologia”.