I regimi alimentari a base vegetale, o diete plant-based, non sono tutti uguali e non sono necessariamente sempre salutari.
Da quanto emerge in uno degli ultimi rapporti pubblicati dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), in Europa, sempre più persone scelgono di aderire a questi emergenti regimi, principalmente per motivi salutistici o etici; tuttavia, la stessa Organizzazione, a fronte della notevole varietà di queste diete, dichiara di non essere ancora a conoscenza del reale impatto sulla salute a lungo termine che alcune di queste scelte possono avere.
Le diete plant-based
Le diete plant-based costituiscono una vasta gamma di modelli alimentari. In generale, ciò che li accomuna è la riduzione (in quelli flexitariani, latto-vegetariani, latto-ovo-vegetariani, ovo-vegetariani e pescetariani) o l’eliminazione (in quelli vegani) dei prodotti di origine animale dalla propria alimentazione, optando invece per il consumo di alimenti di origine vegetale.
Negli ultimi anni, diversi studi hanno confermato quanto una dieta plant-based e a basso contenuto di sale, grassi saturi e zuccheri aggiunti sia raccomandabile come parte di uno stile di vita sano, in quanto anche associata ad una riduzione del rischio di sviluppare malattie non trasmissibili (NCD), le quali sono responsabili del 71% di tutte le morti premature a livello globale. Tuttavia, alcuni di questi regimi, come anticipato, sollevano alcune preoccupazioni.
Quali sono i regimi plant-based “sotto esame”?
Il primo modello alimentare per il quale sorgono alcuni dubbi è quello integralmente a base vegetale, come nel caso delle diete vegane. Queste ultime destano preoccupazione principalmente per le possibili carenze di micronutrienti che si possono sviluppare come, ad esempio, la carenza in ferro e in vitamina B12, di cui invece i prodotti di origine animale sono ricchi. Da quanto emerge nel rapporto OMS questi regimi sono spesso associati ad un’assunzione ridotta non solo di vitamine B12 e di ferro, ma anche di vitamina D, iodio, zinco, calcio e selenio. In questi casi, però, le preoccupazioni passano in secondo piano in quanto le carenze possono essere scongiurate con una dieta vegana opportunamente pianificata e il più possibile varia, magari ricorrendo anche al consumo di alimenti fortificati.
Il secondo modello a base vegetale che presenza delle complicazioni è quello che vede l’intervento delle più recenti tecnologie alimentari, ovvero il modello basato su preparazioni vegetali industriali ed ultra-processate. Questo include imitazioni della carne lavorata (salsicce, nuggets e hamburger “veg”), delle bevande (come il “latte” di mandorle e avena) e di “formaggi” e “yogurt”.
Quando si ricorre all’uso di questi alimenti, infatti, ci si approccia a prodotti che il sistema di classificazione NOVA include nella categoria 4, o alimenti ultra-processati, caratterizzati da un elevato contenuto di amidi, zuccheri, grassi, aromi, coloranti, emulsionanti e diversi altri additivi (in antitesi, dunque, con le diete plant-based ritenute sane dalla stessa OMS). Questo modello, diversamente dal precedente, non viene considerato sicuro e sano da adottare, sia perché spesso i prodotti ultra-processati vegetali non presentano un profilo nutrizionale sufficientemente valido, sia perché esistono ancora pochi studi, troppi prodotti e una mancanza di allineamento normativo per una loro corretta caratterizzazione (1).
1. World Health Organization. (2021). Plant-based diets and their impact on health,
sustainability and the environment: a review of the evidence: WHO European Office for the
Prevention and Control of Noncommunicable Diseases.