Un gruppo di ricercatori italiani ha proposto un programma di ricerca globale per sviluppare un modello basato su adattamenti locali della Dieta Mediterranea. È quanto emerge in un articolo recentemente pubblicato sulla prestigiosa rivista Nature (1).
Dieta Mediterranea tradizionale: quali sono gli alimenti che la caratterizzano?
La Dieta Mediterranea (DM), riconosciuta come patrimonio culturale immateriale dell’UNESCO dal 2010, è caratterizzata da un modello riconosciuto come sano a livello globale.
È un regime alimentare caratterizzato da un elevato apporto di alimenti vegetali (frutta, verdura, cereali (tradizionalmente poco raffinati), patate, fagioli, noci e semi), da alimenti poco elaborati, freschi di stagione e coltivati localmente.
La frutta fresca viene consumata come dessert tipico, mentre i dolci contenenti zuccheri o miele sono consumati solo poche volte alla settimana. È un modello caratterizzato da un elevato apporto di olio d’oliva (in particolare olio d’oliva vergine ed extravergine) utilizzato come principale fonte di grassi, un moderato apporto di prodotti lattiero-caseari (soprattutto formaggio e yogurt), da zero a quattro uova a settimana, pesce e pollame consumati in quantità basse o moderate, carne rossa consumata in quantità ridotte e vino con moderazione, consumato solo durante i pasti.
I singoli alimenti e componenti della DM (ad esempio, l’olio extravergine d’oliva e le noci) hanno benefici ben documentati per la salute, ma negli ultimi anni si è prestata particolare attenzione alla combinazione complessiva di alimenti, espressa come schema dietetico, che può essere fortemente correlata alla salute grazie agli effetti additivi o sinergici dei diversi componenti tra loro (2).
Dieta Mediterranea e salute: quali evidenze?
La DM presenta comprovati benefici per la salute grazie a un notevole profilo nutrizionale, che si traduce in una minore prevalenza di malattie cardiovascolari, metaboliche o neurodegenerative e di tumori. Rappresenta anche un modello sostenibile di produzione e consumo alimentare, grazie all’uso di prodotti locali che possono aiutare a preservare la biodiversità e le risorse naturali, assieme alle colture o tradizioni locali (3,4). Tuttavia, adattare il modello della Dieta Mediterranea ai Paesi non mediterranei non è semplice (5).
Dieta “Planeterranea”: cosa significa?
La cattedra Unesco di Educazione alla Salute e allo Sviluppo Sostenibile dell’Università di Napoli, al fine di espandere ed esportare nel rispetto delle caratteristiche territoriali e culturali locali, intende valutare la possibilità di promuovere a livello mondiale la DM.
‘Planeterranea’, infatti, è il nome proposto per questo nuovo modello alimentare, coerente con gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile fissati dalle Nazioni Unite nell’Agenda 2030 e con i principi dell’economia circolare.
L’obiettivo è quello di limitare i fenomeni di malnutrizione sempre più diffusi globalmente: sono molte, infatti, le persone che vivono in aree urbane e hanno una dieta povera per qualità e varietà, dove la maggior parte dell’apporto energetico proviene da alimenti ad alto indice glicemico e alimenti ultra-processati ricchi di zuccheri e grassi.
Abitudini alimentari errate e talmente diffuse da essere addirittura una delle principali cause dell’epidemia mondiale di obesità (anche infantile) e delle malattie metaboliche e cardiovascolari (6).
Dieta Planeterranea: come adattarla localmente?
In ogni parte del mondo è possibile trovare specifici frutti, verdure, legumi, cereali integrali e fonti di grassi insaturi con contenuti nutrizionali e caratteristiche simili a quelli tipici della DM, con benefici simili per la salute delle popolazioni.
In America Latina, l’avocado, la papaya, le banane verdi, e le bacche di andaçaí rappresentano buone fonti di acidi grassi monoinsaturi (MUFA), micronutrienti e polifenoli.
Per alcuni cereali dell’Africa centrale, come tapioca/manioca e teff, si pensa che favoriscano la produzione di acidi grassi a catena corta (SCFA), come avviene per i cereali integrali tipici della DM. Inoltre, la quinoa è ricca di proteine e fornisce aminoacidi essenziali, con un contenuto di grassi limitato.
L’olio di canola canadese, così come le noci pecan, contengono acidi grassi monoinsaturi e fitosteroli, e hanno dimostrato di abbassare il colesterolo LDL.
Anche prodotti subtropicali popolari come i fagioli pinto e l’okra, ricchi di fibre e proteine, sono associati a livelli ridotti di colesterolo LDL e a una minore incidenza della sindrome metabolica o di eventi cardiovascolari.
I semi di sesamo e la soia, tradizionalmente usati in Asia, contengono composti bioattivi e sostanze antiossidanti in grado di ridurre l’ipertensione, lo stress ossidativo, la resistenza all’insulina e i marcatori infiammatori.
Le macroalghe marine (cioè alghe e wakame) e la spirulina sono ampiamente consumate nei Paesi orientali e rappresentano una fonte importante di polisaccaridi complessi, minerali, proteine e vitamine, con proprietà anticancro, antivirali, antiossidanti, antidiabetiche e antinfiammatorie.
La noce di macadamia australiana, la prugna di Davidson, la bacca di pepe, il finger lime, e il bush tomato – ricchi di flavonoidi, vitamine e minerali – presentano attività antiossidante e antinfiammatoria e sono già utilizzati come alimenti funzionali e nutraceutici (1).
Considerando ciò, il gruppo di ricercatori è convinto che le verdure, la frutta, i cereali e i grassi insaturi disponibili in diverse parti del mondo possano essere combinati per mettere a punto paradigmi nutrizionali locali, basati su prove scientifiche.
L’obiettivo è definire diverse “piramidi nutrizionali”, basate sugli alimenti disponibili localmente, che presentino le stesse proprietà nutrizionali e gli stessi benefici per la salute osservati per la Dieta Mediterranea. L’invito alla collaborazione è esteso ai ricercatori di tutto il mondo, con la richiesta di partecipazione ad uno specifico programma di ricerca che verrà lanciato attraverso una piattaforma dedicata dalla Cattedra UNESCO con il titolo “Planeterranea”.
1. Colao, A., Vetrani, C., Muscogiuri, G., Barrea, L., Tricopolou, A., & Piscitelli, P. (2022). Towards a ‘Planeterranean’Diet.
2.Guasch‐Ferré, M., & Willett, W. C. (2021). The Mediterranean diet and health: A comprehensive overview. Journal of internal medicine, 290(3), 549-566.
3.Trichopoulou, A., Martínez-González, M. A., Tong, T. Y., Forouhi, N. G., Khandelwal, S., Prabhakaran, D., … & de Lorgeril, M. (2014). Definitions and potential health benefits of the Mediterranean diet: views from experts around the world. BMC medicine, 12(1), 1-16.
4.Estruch, R., Ros, E., Salas-Salvadó, J., Covas, M. I., Corella, D., Arós, F., … & Martínez-González, M. A. (2013). Primary prevention of cardiovascular disease with a Mediterranean diet. New England Journal of Medicine, 368(14), 1279-1290.
5. Martínez-González, M. Á., Hershey, M. S., Zazpe, I., & Trichopoulou, A. (2017). Transferability of the Mediterranean diet to non-Mediterranean countries. What is and what is not the Mediterranean diet. Nutrients, 9(11), 1226.
6. Jaacks, L. M., Vandevijvere, S., Pan, A., McGowan, C. J., Wallace, C., Imamura, F., … & Ezzati, M. (2019). The obesity transition: stages of the global epidemic. The lancet Diabetes & endocrinology, 7(3), 231-240.